La disoccupazione giovanile in Italia è altissima: manca la voglia o mancano le opportunità? Analizziamo la realtà dei fatti.
La disoccupazione giovanile è sempre un tema “caldo”, argomento di discussione che viene affrontato ovunque: in parlamento, in senato, nelle case della gente, fino ai peggiori bar di periferia.
Oggi anche io, seduto nel peggior bar di periferia, voglio dire la mia, analizzando questo fenomeno e dispensando qualche consiglio utile (senza avere la pretesa di dire cose originali e illuminanti).
Poveri giovani italiani, accusati di essere bamboccioni, scansafatiche e a volte anche poco ambiziosi.
Eppure dal nostro Bel Paese sono nate tra le più geniali menti della storia: Cristoforo Colombo, Amerigo Vespucci, Marco Polo, Galileo Galilei, Alessandro Volta, Michelangelo, Caravaggio… fino ad arrivare ai più recenti Benigni, Pavarotti, Sergio Leone e chi più ne ha più ne metta.
Cos’è successo? Abbiamo iniziato a spegnere tutti assieme, contemporaneamente, il cervello?
Abbagliati da seducenti Social a tinte blu e video di gattini, abbiamo smesso di ragionare, produrre, inventare?
La verità?
Ci sono poche idee, ma ci sono anche pochi mezzi, tante tasse e troppa burocrazia a muovere il sistema.
Tralasciando le poche idee, frutto anche di un sistema che poco stimola le persone a ingegnarsi (ti consiglio di leggere l’articolo “Cambiare vita: smettere di pensare al posto fisso“), è disarmante constatare come in Italia sembra si faccia del tutto per non agevolare i piccoli imprenditori, le Start Up e, in generale, chi ha voglia di fare e mettersi in gioco.
Disoccupazione giovanile: perché tanta disoccupazione? (Il mio punto di vista)
E’ una domanda che mi sono posto più volte, e, rispondere semplicemente con un generale “c’è crisi”, mi sembra ingiusto e non del tutto veritiero.
Se anche i laureati in Italia non trovano lavoro, deve esserci un problema di fondo.
Va bene la crisi, va bene che questi italiani sono “sfaticati”, ma d’altro canto una Nazione deve pur andare avanti ed una laurea non la si ottiene scansando fatiche!
Allora torno al punto di partenza: c’è crisi e basta?
Ni.
Da quello che ho potuto osservare, ci sono, anzi, c’è, un problema di fondo da non sottovalutare: il rapporto tra domanda e offerta dei diversi lavori.
Mi spiego meglio.
In Italia gli insegnanti sono un’infinità (tra l’altro più del 50% hanno sopra i 50 anni, una delle più vecchie medie Europee), ma si continua a studiare per diventare professori. I negozi di abbigliamento sono ovunque ma continuano ad aprire (e chiudere) ogni giorno… settori e mercati saturi.
Non siamo gli Stati Uniti, lo Stivale ha il suo bacino di persone, di conseguenza anche di professioni ed attività.
Se nella mia città ci sono già 12 negozi di abbigliamento per bambini non vado ad aprirne un tredicesimo.
Discorso logico, no? Eppure c’è chi si ostina a farlo!
Risultati: chi studia anni per una laurea per esercitare una professione in cui non c’è più domanda rimane disoccupato. Stesso discorso per la mamma che apre il negozio di abbigliamento di turno, il passo è brevissimo: si apre-> 1 anno di attività -> pochi introiti/bilancio in rosso -> si chiude -> si torna disoccupati.
Tutto ciò è confermato/avvalorato dal tasso di disoccupazione che abbiamo nella Penisola: intorno all’11,4% – fonte istat –
Disoccupazione giovanile: le idee
Precedentemente ho affermato che ci sono poche idee: perché a mio avviso i giovani non sono delle incubatrici di buone idee?
Semplicemente perché c’è una concezione del lavoro troppo datata e convenzionale.
Abito in un paese e se dovessi chiedere in giro “che lavoro stai cercando?“, “per cosa hai studiato/stai studiando?“, le risposte sarebbero più o meno queste:
commercialista, avvocato, ingegnere, tecnico informatico, idraulico, sistemista, elettricista, infermiere… etc. etc. etc.
Dov’è la cosa strana?
La cosa strana è che siamo a ridosso del 2017 e ad oggi ci sono centinaia di nuovi lavori che migliorerebbero i dati della disoccupazione giovanile, per citarne qualcuno: Youtuber/Influencer, SEO Specialist, Social Media Manager, Web Writer, Web Editor, Project Manager, Blogger, Adwords Specialist e potrei continuare all’infinito.
Il 70% dei giovani conosce a malapena 3 lavori degli 8 elencati! (E quei pochi hanno come conoscenza comune il lavoro da Youtuber/Influencer).
E’ finita qui? NO!
Se da una parte c’è chi non intraprende questi percorsi, dall’altra c’è chi dormicchia, non si fida, storce il naso: le aziende italiane.
Mamma mia!
Di nuovo.
MAMMA MIA!
Le aziende italiane (ok, non generalizziamo troppo, “MOLTE” aziende italiane) sono fuori dal mondo, vivono in un universo parallelo dove il tempo non scorre in avanti, va all’indietro! (Domani sarà il 18/10/1996 per loro).
“Vorrei un sito vetrina, nella descrizione metta: siamo leader nel settore da oltre 30 anni, bla bla bla”.
HEY! Sveglia!
Ci sono altre 3.000 aziende del tuo settore che hanno scritto la stessa cosa! E poi… un sito vetrina? Really? Seriously?
Vedo ogni giorno chiudere aziende con un potenziale enorme.
Tutto questo perché non si riesce ancora a capire che il periodo delle vendite facili è finito da tempo.
Ormai le vendite “a freddo” (quelle in cui si contattava il cliente e si chiudeva la vendita al primo colpo) non funzionano più! (Approfondirò presto questo argomento, stay tuned!).
Disoccupazione giovanile: vuoi aprire un’azienda? Allora impara a vendere!
“Perché hai aperto un’azienda?”
“La disoccupazione in Italia non mi permette di trovare lavoro, allora ho aperto un’azienda tutta mia”
“Bene, hai fatto le dovute ricerche di mercato per individuare il settore d’interesse? Hai analizzato i competitors? Hai pensato a quali possano essere i tuoi punti di forza? Hai individuato le tue Buyer Personas?”
“beh, no, no, no e no”
“Sei con un piede nella fossa”
Fine della conversazione.
Andiamo per ordine.
Sei un giovane disoccupato, oppure un occupato che si è rotto le scatole di essere sottopagato e sfruttato dal datore di lavoro: decidi di aprire un’azienda (o anche percorrere la via del libero professionista, il discorso non cambia).
Che tu venda servizi o prodotti non fa differenza, poniti le domande sopra citate e cerca di darti delle risposte precise.
- Ho fatto le dovute ricerche di mercato per individuare il settore d’interesse? Si – analizzando il mercato ho potuto constatare che la mia idea iniziale, aprire un e-commerce di abbigliamento, è da bocciare. Troppa offerta presente sul mercato, sarebbe una mossa troppo rischiosa. Ho deciso di aprire uno shop online dedicato esclusivamente alle scarpe sportive: calcio, tennis, running e ciclismo.
- Ho analizzato i competitors? Si – ci sono tot. e-commerce che spiccano nel settore, hanno prezzi competitivi, un vasto parco prodotti e spedizioni celeri.
- Quali possono essere i miei punti di forza per emergere rispetto alla concorrenza? Innanzitutto eguagliare prezzi e spedizioni celeri. Aggiungere una migliore esperienza di navigazione dell’utente all’interno del sito, aumentando il coinvolgimento e l’interazione, anche grazie all’uso dei Social Media.
- Chi sono le mie Buyer Personas? (Clienti “ideali”, le persone che andrò a “colpire”) Individuate – le mie buyer personas hanno un’età compresa tra i 15 ed i 65 anni, amano lo sport, praticano lo sport e/o sono attenti alla cura della persona. Tra smartwatch e smartphone, la stragrande maggioranza ha padronanza con i dispositivi tecnologici mobile ed è in grado di muoversi agevolmente su qualsiasi piattaforma online (compreso il desktop).
Queste domande, a mio avviso, sono fondamentali per partire con il piede giusto e non ritrovarsi disoccupati e pieni di debiti dopo appena poco tempo dall’inizio della realizzazione del proprio business.
L’articolo volge al termine.
Se hai domande o vuoi approfondire l’argomento usa il form per i commenti qui sotto 😉
Mi fa molto piacere leggere questo post, perché la lotta contro i pregiudizi sui giovani e sulle “professioni 2.0” è una causa che porto avanti, nel mio piccolo, da circa un anno.
Attorno a me vedo almeno tre persone serie per ogni “bamboccione”, a dirla tutta.
E per quanto riguarda i nuovi settori lavorativi legati al Web… beh, finché le aziende continueranno a considerarli solo degli “hobby un po’ troppo cresciuti” (e a pagarli di conseguenza), i ragazzi non si sentiranno invogliati a entrarci…
Ciao Andrea,
è sempre un piacere leggere i tuoi commenti.
Purtroppo le aziende italiane dormicchiano, spesso rimettendoci le penne!
A volte basterebbe pagare un buon copywriter, un buon SEO, insomma, un buon “digitale”, per avere ottimi riscontri in termini di rientri economici, e invece… risparmiano dove andrebbe investito di più!
Ormai è più importante essere trovati, apparire, interagire… piuttosto che avere IL miglior prodotto/servizio.
Vaglielo a spiegare… 🙂
Si fa a gara a chi ha più like o followers – ma non sono queste metriche a pagare i conti…